Nell’introduzione di Miniature. Frammenti di letterature dal Nord (un peculiare libretto, termine che allude solo alla consistenza fisica del volume), l’autore Bruno Berni compie un tentativo di giustificazione della struttura del saggio, composizione di scritti su diversi autori nordici che, evidentemente, l’autore teme non vengano percepiti come sufficientemente similari da essere raccolti insieme.
Occorre invece elogiare l’intenzione compositiva alla base del libro, quella cioè di fornire, su autori che sono perlopiù sconosciuti al grande pubblico, osservazioni che possono essere di diverso tipo – biografico, strutturale, tematico – ma che non sono mai svincolate da una seppur sbrigativa introduzione, capace di collocare la trattazione in un ambito socio-culturale, con opportuni e non scontati rimandi al rapporto tra l’autore e la tradizione letteraria del paese cui appartiene. In questo senso l’originalità dell’opera è nella propria capacità di essere, al contempo, una sorta di antologia tascabile di alcuni nomi importanti della letteratura nordeuropea, e un testo capace di fornire, a chi di quegli autori conoscesse già, la biografia, uno spunto di riflessione ulteriore, mai scontato, sempre arguto.
A dare coerenza all’opera è l’andamento cronologico, che permette inoltre, grazie alla rete di intrecci di cui sopra, di identificare le reciproche influenze, contribuendo a costruire una panoramica che risulta un ottimo inizio per un approccio più approfondito.
È infatti questo il nodo del saggio, la sua maggiore forza ma anche la sua maggiore debolezza: la forma. Sebbene è indubbio che manchino antologie di facile consumo e che possano ambire a un pubblico più numeroso di quello universitario, o che comunque non siano mai abbastanza, almeno a parere di chi scrive, non c’è però la possibilità di ricostruire un’organicità di pensiero critico che permetta di avere qualcosa più che una suggestione e un nome da cercare in libreria. Non è infatti l’eterogeneità, come pensava l’autore, a costituire la pecca maggiore, quanto la brevità, che qui è una limitazione.
Se infatti, come accade, gli autori non vengono integrati in un quadro critico di più ampio respiro, magari una trattazione che abbia come oggetto un particolare sguardo genealogico sulla letteratura nordeuropea, allora si è tentati di considerare il saggio come un’antologia troppo breve, che non dice abbastanza.
Quello che rimane insomma è un’opera interessante, uno spunto su alcuni autori non tra i più conosciuti al pubblico italiano, spunto che può essere utile tanto a un profano quanto a un letterato (più al primo, in effetti), che può essere apprezzato in quanto tale, ma va almeno considerato come un progetto incompiuto, che avrebbe potuto essere legato, anche senza tradire le proprie velleità minimaliste, a un maggiore approfondimento nell’analisi degli autori.
Michelangelo Franchini