La polvere della poesia sui vestiti dei migranti siriani
In una delle sue più celebri canzoni,
Can la frej’aura venta, il poeta provenzale Bernart de Ventadorn afferma che il freddo vento proveniente dal paese natale della sua amata gli sembra un vento di paradiso. Nel caso di Mohja Kahf è invece la polvere che i viaggiatori si portano sulle spalle a richiamare la desiderata patria d’ origine, la Siria. Qui infatti la scrittrice è nata nel 1967, ma all’età di quattro anni si trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti. Nelle poesie composte tra il 1983 e il 2001, contenute nell’antologia
E-mail da shahrazad (a cura di Mirella Vallone, Passignano sul Trasimeno, Aguaplano, 2015), è proprio l’allontanamento dalla terra nativa che provoca un senso di lacerazione tra la vecchia e la nuova identità, con la nascita di interrogativi su immigrazione e diaspora, traduzione culturale, religione, politica e così via. È il titolo stesso a farci comprendere la coesistenza dei due mondi nei quali vive l’autrice: da un lato abbiamo infatti la figura di Shahrazad, la figlia del visir, che ne
Le Mille e una notte riesce a salvare, grazie alla sua capacità di raccontare delle storie, non solo le vergini del regno ma anche se stessa dagli istinti omicidi di re Shahriyar, del quale arriva perfino a risanare la mente malata; dall’altro si ha invece la posta elettronica, che ha rivoluzionato completamente il nostro modo di comunicare, di narrare vicende rispetto al passato. Insomma è come se la protagonista della novella araba, Shahrazad, decidesse di dar prova della sua straordinaria affabulazione nella redazione di mail. Come opportunamente ricorda la curatrice, per la Kahf il potere della parola non è mai innocente: «essa può salvare una vita così come provocare la morte; in controluce, nel volume, emerge la repressione dei regimi totalitari che hanno contrassegnato, e ancora contrassegnano, la storia di molti Stati mediorientali, e sono una delle cause dei movimenti diasporici verso Occidente».
Nelle poesie del libro si percepisce inoltre il passaggio della comunità arabo-americana da una condizione di “invisibilità” - una delle tante minoranze etniche che compongono il melting pot statunitense – a una di “ipervisibilità”, a seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Alcuni testi poi, come La madre Skaff racconta la storia (2001), testimoniano di vicende di separazione con madri che affidano i loro figli a mercanti sconosciuti pur di scamparli dalla guerra: «Si nascosero e salparono, / non sapendo neanche per dove, i nostri due figli. “Sopravvivete”, / mormorai alle loro orecchie la notte che partirono». Sembra quasi di scorgere, con quindici anni di anticipo, la tragedia attuale del popolo siriano. Il potere profetico della poesia.
Qui di seguito si pubblica dall’antologia La polvere del viaggiatore (1999):
Quando arrivano nel nuovo paese, / i viaggiatori la portano sulle spalle, / la polvere del cielo che si sono lasciati dietro / La donna sull’autobus col maglione soffice, / riesce a sentirne l’odore nei suoi abiti / Era polvere del viaggiatore della Cina / Si era depositata nella cucitura straniera della tasca / Diceva: Ci incontreremo di nuovo a Beijing, / a Guangzhou. Ci incontreremo di nuovo. / Mia madre aveva polvere del viaggiatore nelle sua scarpe / La immagino fresca studentessa come questa donna sull’autobus, / arrivare a casa, togliere gli abiti dalla valigia scuotendoli, / apprendere, uno ad uno, gli indumenti del vecchio paese / Il giorno di bucato mia madre srotolava le sue sciarpe / Lei ne teneva un capo, mio fratello o io l’altro, / e tiravamo la georgette bagnata e la scrollavamo / Ci precipitavamo, mio fratello o io, sotto il telo, / il suo leggero spruzzo sui nostri volti come la cenere / dei detriti dopo la distruzione di una città, / i suoi abitanti costretti a disperdersi nel mondo. / Non abbiamo mai saputo / che era polvere del viaggiatore. Diceva: / Ci incontreremo di nuovo a Damasco, / ad Aleppo. Ci incontreremo di nuovo. / C’era la Siria nelle sue sciarpe. / Non l’abbiamo mai saputo / Ora è anche sulle nostre spalle.